Imam Mohamed Shahin a Torino: il rischio di espulsione e la difesa della comunità
Abdellah Mechnoune
Giornalista e analista politico residente in Italia,
interessato alle questioni arabe, all’immigrazione, e all’Islam.
La situazione che coinvolge Imam Mohamed Shahin, figura religiosa molto conosciuta nel quartiere torinese di San Salvario a torino, sta generando un ampio dibattito pubblico in città e non solo. L’imam Shahin, presente in Italia da oltre vent’anni e radicato nel tessuto sociale locale, è oggi al centro di un provvedimento di espulsione che il ministero dell’Interno ha motivato con “ragioni di ordine pubblico e sicurezza dello Stato”.
Un’accusa grave, che tuttavia non è accompagnata — secondo i legali — da elementi concreti a sostegno delle valutazioni contenute nel decreto.
Un percorso di integrazione improvvisamente interrotto
Imam Shahin, originario dell’Egitto, ha vissuto in Italia dal 2004 come titolare di un permesso di soggiorno di lungo periodo. Per oltre un decennio ha svolto attività sociali, religiose e culturali, collaborando con enti pubblici, associazioni e realtà interreligiose. Non ha precedenti penali e in più occasioni è stato coinvolto in iniziative di dialogo e mediazione comunitaria.
La svolta è arrivata il 24 novembre, quando — mentre accompagnava i suoi figli a scuola — è stato fermato e portato in questura, dove gli è stato notificato l’ordine di espulsione e la revoca del permesso di soggiorno.
Le contestazioni: opinioni politiche o minaccia alla sicurezza?
Secondo quanto riportato nel decreto, l’imam Shahin sarebbe portatore di posizioni ritenute “radicali”, soprattutto in relazione al conflitto israelo-palestinese. Gli viene contestata una frase pronunciata durante una manifestazione pubblica in cui ha definito gli eventi del 7 ottobre come “atto di resistenza” e non di terrorismo.
Una dichiarazione che aveva già suscitato polemiche politiche e un’interrogazione parlamentare.
Tuttavia — fatto rilevante — la procura di Torino aveva archiviato il caso, ritenendo quella frase coperta dalla libertà di espressione e non costituente reato.
Vengono inoltre menzionati incontri avvenuti anni fa con due persone successivamente radicalizzate, elementi però ritenuti dai legali non significativi, poiché risalenti a periodi in cui non erano emersi segnali problematici.
Richiesta di asilo e trasferimento al Cpr
Ritenendo di essere a rischio in caso di rimpatrio, Imam Shahin ha chiesto protezione internazionale, vista la repressione documentata contro oppositori e attivisti politici in Egitto. La richiesta non è stata accolta dalla commissione territoriale competente, che ha giudicato assente il pericolo di persecuzione.
Nel frattempo, l’imam è stato trasferito al Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Caltanissetta, in attesa dell’esecuzione del provvedimento. I legali hanno già presentato ricorsi, contestando non solo la valutazione degli organi amministrativi, ma anche l’uso di strumenti straordinari per reprimere ciò che considerano semplicemente un’opinione scomoda.
Una città che si mobilita tutti.
Il quartiere di San Salvario, luogo simbolo del pluralismo culturale torinese, ha reagito con una mobilitazione corale. Associazioni, cittadini, esponenti religiosi di diverse confessioni e rappresentanti del mondo sindacale e del terzo settore hanno espresso solidarietà a Imam Shahin, ricordando il suo ruolo nella vita comunitaria e il contributo dato al dialogo tra culture.
Anche diversi giuristi hanno criticato il provvedimento, parlando di “misura sproporzionata” e di “deriva amministrativa” che rischia di utilizzare lo strumento dell’espulsione come risposta a opinioni politiche indesiderate.
Il nodo centrale: libertà di espressione e diritti dei cittadini stranieri
Molti osservatori sottolineano come il caso sollevi questioni più ampie riguardo alla condizione giuridica degli stranieri in Italia, la cui libertà di parola può essere limitata in modo più incisivo rispetto a quella dei cittadini italiani, specie quando le loro opinioni toccano temi delicati come la politica internazionale.
Il dibattito ruota attorno a un interrogativo cruciale:
fino a che punto un’espressione politica anche controversa può essere considerata una minaccia all’ordine pubblico?
Gli esperti ricordano che la Costituzione tutela la libertà di espressione, ponendo limiti soltanto quando si configurano reati chiaramente individuati dal codice penale — condizione che, nel caso specifico, non è stata riconosciuta nemmeno dalla procura.
Il rischio del rimpatrio in Egitto
Organizzazioni per i diritti umani, tra cui gruppi della diaspora egiziana attivi in Europa, hanno espresso forte preoccupazione per un eventuale ritorno forzato nel paese d’origine, ritenendo che Imam Shahin a rischio sia per la sua esposizione pubblica sia per il contesto politico repressivo.
In più, ricordano i frequenti casi documentati di detenzione arbitraria e tortura nei confronti di persone percepite come oppositori del governo egiziano.
Una vicenda aperta e un clima che interroga la democrazia
Il caso Imam Shahin non riguarda solo un provvedimento amministrativo, ma diventa specchio di un clima politico sempre più polarizzato. Le manifestazioni pro-Palestina, il ruolo delle comunità straniere, il tema della radicalizzazione e la gestione della sicurezza interna compongono uno scenario complesso, in cui spesso opinioni, paure e decisioni istituzionali si sovrappongono.
Nel frattempo, la comunità torinese continua a chiedere chiarezza, proporzionalità e rispetto dei principi costituzionali. Il destino dell’imam resta incerto, ma il dibattito da lui generato apre interrogativi profondi sul rapporto tra libertà civili e sicurezza, tra pluralismo e sospetto, tra diritto e discrezionalità amministrativa.






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