Mohamed Shahin, imam di Torino- libertà di espressione, integrazione e una comunità che si mobilita
Abdellah Mechnoune
Giornalista e analista politico residente in Italia
Nel novembre 2025, la comunità di San Salvario a Torino e numerose associazioni civili e religiose italiane ed europee sono state scosse dalla notizia che l’imam della moschea Omar Ibn Al Khattab, Mohamed Shahin, ha ricevuto un decreto di espulsione con rimpatrio in Egitto, dopo la revoca del suo permesso di soggiorno.
La motivazione ufficiale fa riferimento ad alcune sue dichiarazioni pubbliche durante manifestazioni di solidarietà con Gaza. Tuttavia, come evidenziano molti osservatori, la vicenda va oltre un semplice atto amministrativo e riguarda temi fondamentali: la responsabilità dell’Italia e dell’Europa nella tutela della libertà di espressione, dei diritti dei residenti e dell’integrazione sociale.
Mohamed Shahin non è un volto nuovo nel quartiere di San Salvario. Da oltre vent’anni rappresenta un punto di riferimento stabile, sia spirituale che sociale. La sua moschea è stata non solo luogo di preghiera, ma anche centro di accoglienza, sostegno alle famiglie in difficoltà, mediazione e dialogo interculturale e interreligioso. Shahin visita malati, supporta giovani in cerca di guida, promuove l’inclusione degli immigrati e accoglie cittadini italiani interessati a conoscere l’Islam con apertura e rispetto.
Molti lo descrivono come un uomo di pace e moderazione, sempre contrario a qualsiasi forma di estremismo o violenza, impegnato quotidianamente nell’integrazione della comunità islamica nel tessuto sociale torinese. Il suo lavoro ha costruito fiducia reciproca tra musulmani e italiani, contribuendo a rafforzare un senso di cittadinanza condivisa.
Durante una manifestazione di solidarietà con Gaza il 9 ottobre 2025, Shahin ha definito l’offensiva israeliana come un “atto di resistenza dopo anni di occupazione”. Non ha mai incitato alla violenza o all’odio. Si trattava di una sua opinione espressa in un contesto pubblico, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione Italiana, che garantisce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero.
La revoca del permesso di soggiorno e il decreto di espulsione, seguiti dal trasferimento in un centro di detenzione, rappresentano un precedente preoccupante: punire un imam integrato e impegnato da decenni nella società civile, padre di famiglia, per aver espresso un’opinione politica su un conflitto internazionale.
La risposta alla decisione è stata corale e trasversale:
Associazioni musulmane e cristiane impegnate nel dialogo interreligioso
Organizzazioni per i diritti umani
Centri sociali e ONG contro la discriminazione
Cittadini italiani e migranti, famiglie che conoscono la bontà di Shahin
Giovani che lo considerano guida e punto di riferimento
Tutti hanno organizzato manifestazioni, firmato appelli e preso posizione pubblica: “Shahin libero!”, “No alla deportazione dell’imam”, “Difesa della libertà di espressione e della dignità umana”.
Questa solidarietà non è solo un gesto personale, ma un chiaro messaggio sul valore della libertà di espressione e sul diritto di ogni individuo — incluso un imam immigrato — di partecipare attivamente alla vita sociale senza timore di ritorsioni.
Italia Telgraph, nel seguire da vicino questa vicenda, ha raccolto le dichiarazioni di diversi esponenti politici locali, rappresentanti delle chiese e leader di associazioni della società civile: tutti hanno evidenziato il ruolo positivo di Mohamed Shahin nel quartiere, la sua dedizione al dialogo interreligioso e alla promozione della convivenza.
Queste personalità hanno sottolineato che la libertà di espressione, tutelata dalla Costituzione Italiana, è un principio fondamentale e che punire un cittadino — anche se immigrato — per aver espresso opinioni politiche pacifiche mina i valori democratici e crea un pericoloso precedente. Le loro dichiarazioni non solo testimoniano stima per imam mohamed Shahin, ma rappresentano anche un monito affinché lo Stato e le istituzioni rispettino i diritti di chi contribuisce quotidianamente alla vita della comunità.
Molti immigrati in Italia e i loro figli non cercano privilegi, ma desiderano essere parte integrante della società: lavorano, pagano le tasse, educano i figli, aprono attività e partecipano alla vita sociale. L’espulsione del imam Mohamed Shahin colpisce quindi una comunità intera, mina la fiducia e crea un clima di paura, contraddicendo i principi della Repubblica Italiana e la sua Costituzione.
Le sue dichiarazioni rientrano pienamente nella libertà di espressione che caratterizza il popolo italiano. I migranti, insieme ai cittadini italiani, sono orgogliosi di questo principio e del ruolo dell’Italia nella promozione dei diritti e della libertà nei forum internazionali.
Chiedere la liberazione immediata di Mohamed Shahin non è solo un atto di pietà, ma una questione di giustizia e coerenza con i valori che l’Italia difende: libertà di espressione, diritto di asilo, integrazione e dignità umana. La sua espulsione, se confermata, rappresenterebbe non solo un danno personale ma anche una lesione dei diritti fondamentali in un paese europeo.
La mobilitazione continua: comunità, cittadini, associazioni, credenti e non credenti uniti per chiedere che l’Italia rispetti se stessa e coloro che contribuiscono alla sua vita sociale. La libertà non è un privilegio, ma un diritto da proteggere.






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