Hassan Najmi nel suo terzo libro di poesie in italiano,”in disparte e altre poesie “Testimonianza di un grande poeta italiano Giuseppe Conte sul poeta marocchino
Hassan Najmi è un poeta che ha potenza visionaria, energia spirituale, e una capacità di vedere in ogni zona del linguaggio, in ogni momento della vita, in ogni aspetto del mondo una trama segreta di simboli e di metafore. Il suo canto, anche quando il verso si dispiega nella continuità di una forma che appare simile alla prosa, è seducente e avvolgente. Io resto preso nella rete di tanta forza espressiva , di tanta ricchezza tematica, e confesso che non sono riuscito a chiudere un libro come questo sinché non ne ho terminato la lettura completa, in una specie di flusso di immagini e suoni che, pur non leggendo l’arabo, mi comunicava la bella traduzione italiana. Tutto quello che io cerco in un libro di poesia è lì:
cultura, passione, verità, commozione, bellezza. E questo libro in particolare è anche un solido e coraggioso ponte , sul piano stilistico e ideale, che mette in relazione la cultura araba con quella occidentale nel più significativo dei modi. Abbiamo bisogno di ponti come questi. Sin dall’inizio, dalla citazione di Ungaretti, il più meticcio dei poeti italiani, l’unico influenzato dal canto del muezzin, la cui influenza avevo rilevato già nel libro precedente di Hassan Najimi, e dalla dedica alla Akhmatova, la grande poetessa russa, si capisce che l’autore intende dialogare a tutto campo con la cultura occidentale. Una poesia nasce da una visita al cimitero berlinese dove è la tomba, tra l’erba silenziosa, calma, maestosa del forse massimo scrittore tedesco del Novecento::”Questo è il bel settembre di Berlino/amico nostro, Bertolt Brecht”.
Con la conclusione amara, che ha la fermezza rassegnata ma non vinta di un epitaffio universale:”Non appena amiamo il mondo, ecco arrivare chi getta su di noi due manciate di terra. Ed eccoti. Eccomi”. Il dialogo continua con Quasimodo, con Ritsos, con cui il poeta dichiara amorosamente il suo debito:”Come avrei potuto fare se non fosse stato per le tua mani sorelle….”, con Kavafis , in un bellissimo testo ulisside, e persino con Roland Barthes, di cui viene tracciato un chiaro ritratto mentre è seduto al caffè Le Français, con il caffè del mattino, una copia di Le Monde (“la sua preghiera quotidiana”), il sigaro preferito e lo sguardo cupo su persone, parole, cose. Ma lo scrittore occidentale che signoreggia in questo libro è Jorge Luis Borges, il nostro maestro, di noi che amiamo metafore, simboli e emblemi. Nella poesia intitolata “Io e Borges” Hassan Najmi attribuisce , come in un gioco di specchi e di ombre (temi borgesiani per eccellenza) i suoi versi a Borges stesso, è come se lui dettasse, con voce malinconica che vacilla “come se distillasse il silenzio”. Lo sentiamo che tossisce, e quando la mano trema un po’, ecco che “la restituisce al bastone di ebano”. Segue anche un “Elogio a Borges”, appassionato dello scrivere “la storia della notte, e della pioggia”, che va a morire in Svizzera, “come un re detronizzato in esilio”.Ma il lettore non creda di trovare soltanto questi straordinari exploit letterari (che da soli basterebbero a giustificare la grandezza di un libro). Hassan Najmi ha tante altre frecce al suo arco.Nel cuore del libro, il testo intitolato “Morte di un poeta”, dedicato alla memoria di Said Sma’li, è una stringente, commovente, stupenda trenodia in cui viene inscenato il dialogo straziante tra la madre del poeta e il figlio che, morendo prima di lei, ha infranto una legge non scritta della natura. Un testo in cui dominano lutto e dolore, ma anche pietà e memoria salvifica. E il lettore troverà una poesia come “La dormiente” immersa in un quotidiano mediterraneo:”Innaffia un po’ la menta affinché l’aroma del tè diventi verde “ ( L’aroma verde, grande sinestesia, che può capire solo chi ha gustato il tè alla menta in un caffè di Rabat, Tangeri, Casablanca, e ha letto Baudelaire).
E immersa nello stesso tempo in un senso di assenza metafisica che stringe la gola:”E non dimenticare, guarda la notte per me[….]La luna ci sarà alta, laggiù”. Altre bellissime poesie sono “Traccia di morte”, pervasa da un senso misterioso di ombra e di dolcezza, o “Forse perché”, dalla intonazione sufi:”Allontana questo bicchiere/non voglio bere stanotte./ Ho bisogno di lodare il Signore sino all’alba”..In un libro come questo, di così complessa ricchezza, non mancano i ritmi più lirici e quelli più riflessivi , risolti in una prosa poetica così innervata di passione e tensione che va oltre qualunque prosa, e non mancano le poesie d’amore, Emblematica è “Una notte a Tunisi”, in cui anima e corpo , spirito e natura si fondono sino al verso:”Ho baciato la sua bocca come se baciassi una ciliegia color cremisi”. E “La storia della notte”, dove leggiamo questo paradosso potente:”La notte si oscurava nello splendore del tuo corpo”, O “La densità della notte”, uno dei vertici lirici del libro:”Hai cucito il mio corpo al tuo./ Non ho più mani,/E sei diventata più che mai una bambina./ Sei diventata mia”. Dal conclusivo “Quaderno dei frammenti” voglio citare “Sguardo”;”Da anni ti scruto./Il mio sguardo non ha rughe”.Perché chi non ha rughe, al mondo, è la poesia , è una poesia come questa, destinata a restare fresca, intatta, a illuminare la sofferenza di noi uomini, a farci intravedere la luce di un Paradiso.