Intervistato da : Abdellah Mechnoune
In un contesto globale sempre più dinamico e competitivo, la storia di Tarik Taouati rappresenta un esempio emblematico di determinazione e capacità di adattamento.
Nato a Tetouan e trasferitosi in Italia all’età di tre anni, Taouati ha saputo integrare le sue radici marocchine con l’ambiente italiano, costruendo un percorso di successo nel settore immobiliare.
Dopo aver vissuto esperienze significative tra Modena e Francoforte, ha intrapreso una carriera che lo ha portato a distinguersi a livello nazionale, fino alla fondazione delle proprie agenzie immobiliari sulla Riviera Romagnola.
Attraverso questo incontro, ripercorriamo le tappe fondamentali della sua vicenda personale e professionale, per esplorare le sfide affrontate, le lezioni apprese e le ambizioni future.

1-Lei è nato a Tetouan, ma ha vissuto la maggior parte della sua vita in Italia. In che modo questa doppia cultura ha influenzato la sua crescita?
Mi considero fortunato, come tantissimi italo-marocchini.
Perché veniamo da una cultura millenaria come quella marocchina e siamo figli di un Paese, l’Italia, che è stata la culla di grandi civiltà del Mediterraneo.
Tetouan è una città meravigliosa, di origine morisca, ricca di storia e bellezze naturali grazie alla sua posizione geografica.
Ne sono molto fiero, e sento fortemente il desiderio di onorare le mie origini. Credo che proprio questo mi abbia forgiato: sono italiano di origine marocchina, e voglio dimostrare ai miei concittadini italiani che fuori dai nostri confini esiste un Paese altrettanto straordinario.
Il mio desiderio più grande è che un giorno si possa dire: “È figlio di immigrati marocchini, e ce l’ha fatta”.
Sono molto infastidito dagli stereotipi e dai pregiudizi, ed è per questo che noi, seconda generazione, abbiamo una grande responsabilità: onorare il Marocco e i marocchini.
2-Quali sono i ricordi più vivi che conserva della sua infanzia tra Tetouan e Modena?
Uno dei ricordi più vivi è sicuramente il viaggio in macchina che facevamo ogni estate per tornare in Marocco.
Sono il primo di cinque figli (ho un fratello e tre sorelle). Mia madre era casalinga e mio padre operaio, quindi le condizioni economiche erano umili. Non ci è mai mancato nulla, ma non abbiamo mai elemosinato niente: questo è uno dei principi più forti che mio padre ci ha trasmesso.
Avevamo poco, ma tutto era essenziale.
I viaggi erano stretti, scomodi, tutti insieme in macchina… ma bellissimi. Ricordo i panini al tonno preparati a Modena e mangiati lungo la Costa Azzurra, la vista dei tori neri lungo le autostrade spagnole, fino ad arrivare al traghetto ad Algeciras.
Per noi bambini era tutto magico, pieno di bellezza e semplicità. Mi manca tantissimo, perché in quei momenti ci sentivamo parte di una comunità: tantissime famiglie marocchine che tornavano in estate a trovare i propri cari.
A Tetouan, poi, la cosa che più amavo era dormire tutti insieme ai cugini: materassini a terra, qualcuno sul divano… ed erano subito notti indimenticabili.

3-Ha raccontato che il suo rapporto con lo studio non è stato facile. Quali insegnamenti ha tratto da quel periodo complesso?
È stato un periodo di grande confusione, soprattutto legata al senso di appartenenza.
Mi sentivo inferiore, perché la società mi faceva sentire tale, figlio di immigrati.
Non riuscivo a canalizzare le mie forze nello studio, e ho perso tre anni scolastici: uno per motivi di salute, e due alle superiori perché non mi applicavo. Volevo lavorare, guadagnare, essere indipendente. Non vedevo uno sbocco nello studio, non mi sentivo all’altezza. Ma ciò che non sapevo è che proprio in quel periodo stavo formando il mio carattere.
A tutto questo si aggiungevano anche le difficoltà economiche che la mia famiglia stava affrontando in quegli anni.
4-In che modo il percorso tecnico che ha seguito l’ha aiutata nella sua carriera?
La scuola tecnica mi ha insegnato una cosa fondamentale: fare bene le cose per ottenere risultati funzionali, non solo apparenti.
Più ci si avvicina alla perfezione, più si alza la qualità e la grandezza del risultato.
Grazie a questa formazione, mi ritengo una persona piuttosto pignola e precisa.
5-Ci racconti della sua esperienza a Francoforte: cosa ha imparato a livello personale e professionale?
Ho imparato cosa significa essere uomo.
A 21 anni mi sono trasferito da solo in un Paese dove non conoscevo né la lingua né le abitudini. Parlavo solo arabo e un po’ di spagnolo, quindi in Germania non ero per niente funzionale.
Lì ho imparato cosa sono le scadenze, gli impegni, la responsabilità. Ma in realtà, questa responsabilità l’avevo già dentro: da piccolo ero il traduttore della famiglia, il punto di riferimento nei viaggi.
La Germania ha reso tutto più chiaro. Mi ha fatto capire quanto fossero importanti i sacrifici che i miei genitori avevano fatto per noi.
Ho fatto lavori che odiavo, ma li facevo perché volevo essere uomo. Non ho mai chiesto aiuto economico a mio padre, per orgoglio e rispetto: sapevo cosa stava passando e non volevo pesare su di lui. Al contrario, volevo essere io a migliorare la condizione economica della nostra famiglia.
6-Il suo ingresso nel mondo immobiliare è avvenuto su consiglio di un amico. Cosa l’ha affascinata di questo settore?
Sono tornato in Italia perché non avevo ancora la cittadinanza italiana, e in Germania, per una differenza di 54 centesimi all’ora, non mi hanno rinnovato il permesso di soggiorno.
In Germania guadagnavo circa 1.200/1.300 euro al mese. Nel frattempo, un mio amico che lavorava nel settore immobiliare mi raccontava che guadagnava anche 2.500/3.000 euro al mese, pur avendo iniziato da poco.
Quando feci il colloquio, non mi colpì tanto il guadagno immediato, quanto l’idea di diventare imprenditore, di avere qualcosa di mio. E di conseguenza, poter guadagnare tanto e ripagare i miei genitori dei sacrifici fatti. Questo è il pensiero che ancora oggi mi guida.
Ricordo che a scuola mi sentivo inferiore. Qui, invece, avevo una possibilità concreta di elevarmi.
7-Com’è stato muovere i primi passi nel mercato immobiliare italiano? Ha incontrato difficoltà legate alle sue origini?
Sì, tante difficoltà. Era un ambiente completamente nuovo: non conoscevo nemmeno le terminologie tecniche. Ma soprattutto, il mio nome creava diffidenza.
All’inizio facevo ricerca di mercato porta a porta, e ogni volta che mi presentavo con il mio nome, ottenevo spesso una reazione negativa, anche razzista, da parte di alcune persone (non tutte).
Se non avessi trovato delle strategie per superare quegli ostacoli, probabilmente avrei abbandonato subito la carriera.
8-Essere arrivato terzo miglior consulente immobiliare d’Italia nel 2019 è un grande traguardo. A cosa attribuisce questo successo?
Alla voglia di vedere il mio cognome in alto e rendere orgoglioso mio padre.
Il mondo imprenditoriale non ti dà garanzie: devi costruire tutto da zero, anche il tuo stipendio. E all’inizio, spesso, guadagnavo meno di un operaio. Mio padre non capiva: per lui era una perdita di tempo. Lui, che ha sempre lavorato come dipendente, cercava la sicurezza.
Io no. Io volevo costruire qualcosa di grande.
Arrivare terzo in Italia è stato il frutto di tanto lavoro e, sì, anche di gratificazioni economiche. Ma il motivo più forte era dimostrare che un figlio di immigrati può farcela. E che i figli degli immigrati stanno emergendo. Io voglio far parte di questa generazione.

9-Dopo aver aperto tre agenzie, ha dovuto cederne una. Come ha affrontato quel momento?
È stata una grande delusione.
Ho commesso degli errori, soprattutto per inesperienza. Avere buone conoscenze non basta: bisogna evolversi costantemente.
Ho avuto troppa fiducia in alcuni soci che si sono rivelati tutt’altro da ciò che dichiaravano di essere. Ho subito fregature anche economiche.
Ma dico Hamdullah: era il prezzo da pagare per liberarmi di persone tossiche e non sincere. Oggi ho il 100% dei frutti dei miei sacrifici, dopo nove anni di lavoro.
10-Oggi gestisce due uffici sulla Riviera Romagnola. In cosa è diverso rispetto a Modena?
Tantissimo. Intanto, c’è il mare – che migliora lo stato d’animo!
Qui, nel 70% dei casi, l’esigenza della casa è legata al piacere, non alla necessità. A Modena, invece, essendo una città residenziale, si gestiscono situazioni più articolate, legate a trasferimenti o cambi familiari.
11-Come vede il futuro del mercato immobiliare in Italia, soprattutto con i cambiamenti economici recenti?
È uno dei mercati più dinamici in Europa, anche per la sacralità che gli italiani attribuiscono alla casa.
Purtroppo, però, non esprime tutto il suo potenziale a causa dell’eccessiva burocrazia. Ma continuerà a crescere, lentamente ma stabilmente.
12-Su quali progetti o obiettivi personali si vuole concentrare nei prossimi anni?
Ho degli obiettivi intimi molto importanti, InshAllah. Tra cui sposarmi e creare una famiglia. Devo ancora trovare la donna giusta, ma sono fiducioso.
A livello lavorativo, voglio espandermi in Europa e in Marocco, e non solo nel settore immobiliare. Il mio sogno è creare lavoro anche per la mia famiglia, InshAllah. Sento forte questo senso di responsabilità.
13-Quali valori cerca di trasmettere al suo team di lavoro?
Il rispetto per i genitori. Non sopporto chi non rispetta la propria famiglia.
Ai miei ragazzi cerco di trasmettere l’importanza della sincerità, e del legame con i genitori. Spesso vedo delle ferite, e mi piace pensare di poter essere d’aiuto. Magari persino la causa di un riavvicinamento.
Non possiamo essere grandi imprenditori se prima non siamo grandi uomini o donne. E per me, chi non tratta bene i propri genitori, non potrà mai esserlo davvero.
14-Se potesse tornare indietro nel tempo, cosa cambierebbe del suo percorso?
Delegare meno.
E direi a quel Tarik di non essere ingenuo. Avere fiducia, sempre – senza quella non si va avanti – ma imparare a non fidarsi ciecamente di tutti.
15-Cosa direbbe oggi a un giovane marocchino o italiano che sogna di avviare una propria attività ma si trova a lottare con le difficoltà iniziali?
Direi che i problemi nascono e muoiono nella nostra testa.
Tutti abbiamo limiti: alcuni si superano, altri richiedono più tempo, altri ci bloccano. Ma il segreto è ridurre il tempo che ci mettiamo a risolverli.
Le difficoltà ci saranno sempre. Ma se riesci a sognare qualcosa, allora puoi anche realizzarla.
Tutto, però, ha un prezzo. E bisogna essere disposti a pagarlo.
Diffidate da chi vi promette risultati facili: non esistono. Ci vogliono tempo, pazienza e sacrifici.
Conclusione
Il percorso di Tarik Taouati è una storia di resilienza, visione e amore per le proprie radici. Con impegno e determinazione, ha trasformato le difficoltà in opportunità, diventando una figura di riferimento per tanti giovani che sognano di costruire un futuro oltre ogni confine.






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