APPELLO DI ASSIA BELHADJ :RICHIESTA DI FARE GIUSTIZIA

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Assia Belhadj

 

 

RICHIESTA DI FARE GIUSTIZIA Mi chiamo Assia Belhadj, sono una cittadina italo-algerina. Sono in Italia da oltre 16anni.

Ho acquisito la cittadinanza italiana e qui in Italia sono diventata mamma di quattro figli.
Faccio la mediatrice interculturale da più di dieci anni, sono un’attivista per i diritti umani, mi sono occupata in questi dieci anni anche di dialogo interreligioso, della conoscenza reciproca e ho cercato sempre di creare ponti per superare gli stereotipi e le paure. Tutto ciò mi ha portata a scrivere un libricino che ho chiamato “Oltre l’hijab, una donna da straniera a cittadina”. Un libro che invita ad andare oltre l’aspetto fisico delle persone, nel mio caso il velo, dove ho raccontato anche la mia esperienza da donna musulmana in una società occidentale. So che non si può considerare un grande libro, ma per me lo è perché ho imparato la lingua italiana da zero essendo madrelingua araba. Non è stato un percorso facile ma l’ho voluto fare sentendo la responsabilità verso me stessa, i miei figli e la società in cui vivo. E’ un libro che racconta la mia storia da donna, si può chiamare anche libro umano perché ci potrebbe aiutare a ritrovare i nostri valori di esseri umani, superando l’egoismo, la superiorità e la superficialità che il mondo impone tutt’oggi.

Ho deciso di scriverle per la difficile e triste vicenda che sto vivendo. Nei giorni scorsi è stata confermata l’archiviazione da parte del Giudice della vicenda sui messaggi di insulti minacce e diffamazioni a sfondo razziale che ho ricevuto su Facebook, a seguito della mia candidatura nelle elezioni regionali dell’anno scorso (2020), quale candidata nella Lista Il Veneto che vogliamo.

Chi doveva decidere ha deciso che le più di 100 persone che si sono permesse di offendermi, prendermi in giro, minacciarmi, deridere me e la mia religione, chiamare “straccio” il velo che porto, dirmi che mi devo curare, associare la mia persona all’Isis, darmi della medievale, condividere la mia foto per incitare odio verso di me non saranno segnalate, contattate o processate perché non si riesce a risalire alla loro identità e non si riesce a risalire alla data di pubblicazione dei post (seppure io avessi denunciato che tutti i commenti erano stati pubblicati nei 15 giorni successivi alla mia candidatura).

A nulla è servito oppormi alla iniziale richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero. Non è servito fare notare come la Procura abbia scritto che “non riescono a fare indagini sui profili Facebook perché la rete in uso all’ufficio non consente l’accesso a Facebook” e che in passato queste indagini venivano svolte da personale che usava il proprio computer privato e il proprio profilo Facebook personale.

A nulla è servito spiegare al Giudice come ogni profilo Facebook debba indicare un indirizzo e-mail al momento di iscriversi e che bastava forse cercare a chi appartengano questi indirizzi per trovare chi abbia pubblicato su Facebook quelle bestialità.
La pubblicazione di quella frase ha provocato un po’ di discussioni e polemiche, motivo per cui il Procuratore di Belluno ha riferito in una nota: «In relazione alle notizie apparse sulla stampa secondo le quali il procedimento sarebbe stato archiviato perché la Procura non ha i social si comunica che per i reati di diffamazione esistono rogatorie internazionali su cui gli Stati Uniti hanno inviato una nota nel 2016».

Il procuratore fa riferimento al fatto che negli Stati Uniti – dove ha sede Facebook – la diffamazione non è un reato come in Italia: le frasi scritte su Facebook e ritenute diffamatorie sono protette dal diritto di libertà di espressione, ai sensi del Primo Emendamento della Costituzione. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti respinge così regolarmente le richieste di rogatorie internazionali che riguardano la diffamazione. Concludeva il procuratore: «Le indagini non hanno consentito di identificare gli autori di quei post. Mancavano gli elementi per giungere ad identificare gli autori in modo chiaro. A queste indagini hanno lavorato la Digos e la Polizia postale. Il Gip ha accolto la richiesta di archiviazione».

Sicuramente io non sono una persona esperta di giurisprudenza, ma sappiamo entrambe che quanto sancito dalla giurisprudenza di un altro paese, non potrebbe andare ad influenzare le decisioni in materia di Legge, di altri paesi. In Italia la sentenza n. 24431 del 28 aprile 2015 della Cassazione e la decisione del tribunale di Pescara del 5 marzo 2018 n. 652, cosi’ si sono espresse riguardo alla diffamazione. Partiamo con ordine: Insulti e commenti offensivi possono integrare le fattispecie di diffamazione aggravata (articolo 595 del Codice penale) quando denigrano, offendono e umiliano una persona o un gruppo di persone (ad esempio una minoranza etnica o linguistica). L’aggravante è costituita dal mezzo tecnologico – ovvero i social network – che consentono una diffusione vastissima e incontrollata. La diffamazione aggravata è in assoluto il reato più comune in cui incorrono i “leoni da tastiera” che scrivono post e commenti offensivi su qualità o condizioni riconducibili con certezza ad una persona determinata

Vorrei condividere con Lei questa grande delusione per quello che vedo come un’ingiustizia sociale di un Paese europeo, moderno e civile che possiede una Costituzione invidiabile. Dove l’Articolo 3 riconosce tutti i cittadini uguali per Legge e per lo Stato a prescindere dalle proprie origini, fede o condizione sociale.

Allo stesso tempo mi chiedo come si possa continuare a vivere in un Paese che non ci garantisce giustizia, come si possa parlare di inclusione senza però garantire diritti e giustizia alle persone, come si possa continuare ad essere cittadini attivi a favore della società se lo Stato non la garantisce.

Perché la giustizia, in qualsiasi società, ci dà fiducia. Negando questa giustizia si distrugge la fiducia nelle Istituzioni. Perché la giustizia è quella che da’ forza e speranza all’individuo per andare avanti, per resistere e resistere ai soprusi.

Mi sento discriminata due volte: la prima volta lo sono stata dalle persone che hanno offeso la mia persona, la seconda dalle Istituzioni che non hanno voluto prendere provvedimenti.

Certa di poter trovare nella sua persona un essere umano empatico, lucido e visionario che possa darmi conforto almeno perché io non perda completamente fiducia nelle istituzioni e nel paese che mi ha accolta e di cui ho scelto di essere Cittadina, l’Italia, anche la mia Italia

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