Discriminazione razziale nel cuore del comune di Pieve di Soligo : quando un assessore viene rifiutato perché “marocchino”
Abdellah Mechnoune
A Pieve di Soligo, una tranquilla cittadina italiana dove tutto dovrebbe essere ordinato come gli articoli del codice civile, Mohamed Hammouch, consigliere comunale con delega al turismo, ha ricevuto uno schiaffo razzista. Non da un fanatico in un vicolo buio, ma da un proprietario che pubblica annunci online dichiarando di cercare un inquilino “serio e rispettoso”.
Mohamed, 35 anni, non è un richiedente asilo né un immigrato appena arrivato. È un consigliere eletto con 217 voti, di fiducia del sindaco Stefano Soldan, che gli ha affidato il commercio, il turismo e l’ambiente. Eppure, tutto ciò non è bastato davanti a un’unica “colpa”: essere marocchino.
Immaginate la scena: un uomo con un lavoro, padre di due gemelle, decide – come farebbe qualsiasi cittadino responsabile – di cercare una casa più grande per la propria famiglia. Trova un annuncio, contatta l’agenzia, firma i documenti preliminari, versa la caparra, incontra il proprietario che sorride e annuisce… poi, due giorni dopo, arriva la risposta: mi dispiace, non affitto ai marocchini.
Semplice. Come dire: non affitto ai fumatori, o non accetto animali. Ma stavolta è: non affitto a chi viene dal sud del Mediterraneo.
E allora? Che ne è della legge? Della Costituzione? Di tutti quei bei principi europei sulla dignità, l’uguaglianza, e il divieto di discriminazione? Sono solo slogan da vetrina? O restano appesi nei municipi come vecchi quadri che nessuno legge più?
In un post sincero e doloroso, Hammouch scrive: «Oggi, per la prima volta nella mia vita, ho sentito sulla pelle l’amarezza della discriminazione razziale.»
La sua pelle, che non ha colore diverso dai valori civici in cui crede, è diventata improvvisamente un problema. Ma il problema più grande non è il proprietario in sé, bensì un sistema che tace, che chiude un occhio, che considera il fatto una “opinione personale”. Come se fosse normale rifiutare un essere umano perché è marocchino… o perché non ti piace il cous cous!
Colpisce il fatto che Mohamed non si sia arreso, non abbia insultato né lasciato l’incarico. Ha scelto di rispondere in modo civile: la prossima settimana accompagnerà un gruppo di trenta giovani italiani in Marocco, con l’associazione che presiede, la GIM – Giovani Italo-Marocchini, per costruire i ponti che altri distruggono con l’ignoranza.
Nonostante la ferita, è rimasto in piedi. Ma ha posto una domanda che colpisce: Non sono abbastanza italiano?
Una domanda che scava nel cuore dell’identità, che ne rivela la fragilità quando viene ridotta a un nome, a un naso, a un accento. Quando le origini diventano una colpa, anche se sei un cittadino eletto, che lavora e paga le tasse.
Quello che è successo a Hammouch non è un caso isolato. È lo specchio di ciò che vivono migliaia di giovani di origine maghrebina in Italia. Tutti Hammouch, nel silenzio, nel tentativo quotidiano di giustificare il proprio diritto all’appartenenza, nella lotta contro una realtà che dice: “Sei dei nostri, ma non troppo vicino”.
Il razzismo qui non grida. Agisce con calma offensiva: un sorriso falso, una firma e poi un ritiro, una porta chiusa, una scusa fredda: “Sei marocchino”.
La vera domanda, ora, non è per Mohamed Hammouch, ma per le istituzioni: Che senso ha concedere il diritto di voto a un cittadino, se poi gli si nega il diritto di affittare una casa?
E fino a quando l’immigrato, per quanto integrato, resterà un estraneo? Anche se diventasse ministro, sindaco, o… santo?
Quello che ha fatto il proprietario non ha solo negato a Mohamed una casa. Gli ha negato una patria.
Fino a quando celebreremo la convivenza nei discorsi, per poi tradirla davanti alle porte di casa?
Nel silenzio della porta che non si è aperta, risuona un grido per l’Italia: Non tutti quelli nati qui sono italiani, e non tutti quelli venuti da lontano sono stranieri.