L’Imam Mohamed Shahin… una vicenda che va oltre la persona: difesa della convivenza e fiducia nella giustizia italiana
Abdellah Mechnoune
Giornalista residente in Italia
La notizia dell’arresto dell’Imam Mohamed Shahin a Torino non è stata un avvenimento marginale nella vita della comunità musulmana, né un episodio destinato a passare inosservato. Ha rappresentato, invece, uno shock autentico per tutti coloro che lo conoscevano da vicino e per chi ha seguito i suoi anni di attività religiosa, sociale e umanitaria nella città.
L’Imam Shahin non è soltanto il predicatore che guida la preghiera nella moschea Omar Ibn Al Khattab; è una figura centrale nella costruzione di ponti tra i musulmani e la società italiana, un uomo che da oltre vent’anni opera per il dialogo, la riforma e la convivenza pacifica, impegnandosi affinché l’Islam sia una presenza positiva nel panorama civile e culturale di Torino.
È conosciuto come padre di famiglia equilibrato e rispettato, che educa i figli al rispetto della legge e all’amore per il Paese in cui vivono. Di lui non si è mai registrata alcuna inclinazione alla violenza o a forme di estremismo; al contrario, ha sempre promosso moderazione, dialogo e avvicinamento umano.
L’Imam Shahin è sempre stato presente nei momenti significativi della comunità:
– visitava i malati,
– partecipava ai funerali,
– aiutava i bisognosi,
– conciliava tra le persone in conflitto,
– e accoglieva i giovani in cerca di orientamento e rettitudine.
Queste non erano pratiche occasionali, ma la vita quotidiana di un uomo che ha dedicato sé stesso al servizio degli altri.
I frequentatori della moschea Omar Ibn Al Khattab conoscono bene il suo impegno: per lui la moschea doveva essere uno spazio aperto a tutti — ai giovani, alle famiglie, ai nuovi arrivati, e anche agli italiani interessati a conoscere l’Islam attraverso il dialogo e non tramite pregiudizi.
Contribuì in modo significativo, insieme agli altri membri dell’amministrazione, a trasformare la moschea in un luogo sicuro che promuove cittadinanza, partecipazione e valori condivisi.
Una delle caratteristiche più evidenti della sua presenza pubblica era la partecipazione alle manifestazioni a sostegno di Gaza e della causa palestinese, sempre in maniera pacifica e umana. Per lui la difesa dei diritti dei popoli oppressi era un dovere morale, e non ha mai considerato questo impegno in contrasto con il rispetto della legge.
In ogni iniziativa ha espresso un rifiuto netto della violenza e un forte richiamo alla giustizia e alla pace. Per questo motivo, molti attivisti italiani — appartenenti alla sinistra, al centro e alla società civile — si sono oggi schierati al suo fianco in difesa del diritto alla libertà di espressione pacifica.
La reazione della comunità musulmana era prevedibile, ma ciò che ha colpito l’opinione pubblica è stato il sostegno arrivato da oltre i confini delle moschee e delle associazioni islamiche.
Organizzazioni civili, enti per i diritti umani, associazioni culturali e istituzioni religiose di varie tradizioni hanno espresso solidarietà, chiedendo la sua liberazione immediata e opponendosi alla sua espulsione.
Musulmani e italiani insieme hanno manifestato preoccupazione per il suo destino, per la sua famiglia e per il significato che un simile provvedimento porta con sé.
Questo consenso unanime nasce dalla consapevolezza che un eventuale rimpatrio in Egitto potrebbe rappresentare un rischio serio per la sua vita e la sua libertà, viste le sue posizioni pubbliche e la sua lunga storia di impegno civile.
Molti temono che possa essere esposto a:
– intimidazioni,
– persecuzioni,
– o addirittura incarcerazione.
Per questo si chiede che la sua vicenda sia trattata con l’attenzione legale e umana che si addice a un Paese democratico fondato sul rispetto dei diritti fondamentali.
Questa non è una crisi tra lo Stato e la comunità musulmana, né un conflitto tra religione e legge. È un momento che richiede equilibrio, giustizia e ascolto sincero di tutte le parti coinvolte.
Giudicare le sue posizioni politiche senza considerare vent’anni di servizio alla comunità rischia di portare a un’ingiustizia che un uomo saggio ed equilibrato come lui non merita.
La comunità musulmana di Torino non è un corpo estraneo al Paese: ha costruito qui le proprie case, ha educato i propri figli, ha investito risorse e partecipato allo sviluppo economico e culturale della città.
Crede che la sicurezza dell’Italia sia la sua stessa sicurezza, e che la stabilità del Paese sia un valore condiviso.
Le moschee — compresa la moschea Omar Ibn Al Khattab — continuano a diffondere messaggi di:
– amore,
– dialogo,
– convivenza,
– rispetto della legge,
– e impegno per il bene comune.
In mezzo a questa difficile vicenda, la comunità mantiene piena fiducia nella giustizia italiana e nelle sue istituzioni indipendenti, che hanno sempre rappresentato un baluardo dei diritti e delle libertà.
L’obiettivo collettivo — dello Stato, della comunità e della società civile — deve essere una soluzione equa, umana ed equilibrata, che tuteli la dignità dell’Imam Shahin , garantisca la sicurezza pubblica e rafforzi i valori di convivenza che fondano la Repubblica Italiana.
Oggi, la comunità musulmana chiede la sua liberazione immediata e l’esame del suo caso con il livello di saggezza e responsabilità che merita, in nome del rispetto per questo Paese che ama e al quale contribuisce da tanti anni.






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