Il riconoscimento occidentale dello Stato di Palestina: un cambiamento nell’umore internazionale o una pressione contingente?
Abdellah Mechnoune
Il dossier palestinese ha assistito a un’evoluzione senza precedenti negli ultimi mesi, dopo che alcuni paesi occidentali, tra cui il Canada, l’Australia, il Regno Unito, il Portogallo e il Belgio, hanno annunciato il loro riconoscimento ufficiale, o l’intenzione di riconoscere, lo Stato di Palestina con i confini del 4 giugno 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. Questa svolta, accolta con ampio favore nel mondo arabo, si interpreta su più livelli: diplomatica, simbolica, strategica, e solleva domande urgenti circa i suoi significati, il suo tempismo e i suoi limiti pratici.
Mentre alcuni riconoscimenti occidentali sono visti come aventi un carattere simbolico o morale, il contesto attuale conferisce loro una dimensione politica più seria e di maggiore impatto. L’umore internazionale sta cambiando, lentamente ma con costanza, in un contesto di crescente rabbia popolare occidentale di fronte alle pratiche dell’occupazione, e di intensificarsi della solidarietà con il popolo palestinese, in particolare dopo la guerra israeliana su Gaza nell’ottobre 2023, che ha rappresentato uno shock per l’opinione pubblica mondiale.
Si comprende, dal riconoscimento di questi paesi, in particolare quelli storicamente noti per il loro tradizionale sostegno a Israele, che esiste una consapevolezza crescente che il permanere dello status quo, senza una prospettiva politica giusta, costituisce un pericolo per la stabilità regionale e internazionale, e rischia di minare la posizione dell’Occidente come presunto garante della pace.
Dal punto di vista giuridico e politico, il riconoscimento dello Stato di Palestina non lo crea di fatto sul terreno, ma consolida il riconoscimento internazionale del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, e conferisce loro maggiore legittimità nei consessi internazionali, specialmente alle Nazioni Unite e nei tribunali internazionali.
Con il numero di Stati che riconoscono la Palestina che supera le 150, il peso politico di questo riconoscimento è diventato difficile da ignorare, soprattutto con il passaggio dai paesi in via di sviluppo o del Sud agli Stati appartenenti a quello che è noto come il “blocco occidentale” tradizionale.
Questa svolta ha ricevuto un ampio sostegno ufficiale arabo, comprendente dichiarazioni di appoggio dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dal Kuwait, dal Sultanato di Oman, dal Bahrain, dalla Giordania, e da altre capitali arabe. Tale accoglienza non si è limitata ai soli elogi, ma si è accompagnata a inviti rivolti agli altri paesi occidentali a seguire l’esempio di questi e a riconoscere lo Stato di Palestina, rafforzando così le possibilità di pace e stabilità, e spingendo verso l’attuazione della soluzione dei due Stati, che rimane — teoricamente — il pilastro fondamentale del discorso internazionale sul conflitto.
Tuttavia, la visione araba del passo resta vincolata alla sua traduzione pratica, sia attraverso un chiaro sostegno politico nelle sedi internazionali, sia attraverso l’esercizio di una pressione reale su Israele per fermare l’insediamento e porre fine all’occupazione.
La recente mossa mette Israele e i suoi alleati, in primis gli Stati Uniti, in una posizione difensiva inusuale. Infatti, Tel Aviv ha ritenuto questa mossa “dannosa per il processo di pace”, in palese contraddizione con la realtà sul terreno, che assiste a un’espansione degli insediamenti e a un rifiuto sistematico di qualsiasi iniziativa politica concreta.
Quanto a Washington, che non si è ancora unita all’ondata di riconoscimenti, sembra trovarsi in una posizione impegnativa; da una parte afferma di sostenere la soluzione dei due Stati, dall’altra rifiuta di compiere il passo più logico per raggiungerla: il riconoscimento dello Stato di Palestina. Alcuni analisti ritengono che questa esitazione americana non derivi solo da considerazioni elettorali o dall’influenza dei gruppi di pressione, ma rifletta anche un fallimento nel formulare una visione strategica chiara per il Medio Oriente dopo decenni di patrocinio unilateralistico del processo politico.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina, nonostante la sua importanza, non è la fine del percorso ma il suo inizio. La domanda che ora si pone è: come trasformare questa spinta politica in un risultato diplomatico e giuridico concreto?
Le opzioni sono molteplici, tra cui:
Ampliare i riconoscimenti: costruendo un’alleanza diplomatica internazionale che spinga un maggior numero di paesi europei e asiatici a unirsi a questo percorso.
Fare pressione nelle sedi internazionali: per garantire protezione internazionale per i palestinesi, e rafforzare l’adesione della Palestina alle organizzazioni internazionali.
Riconoscimento della responsabilità legale di Israele: sostenendo i dossier d’indagine presso la Corte Penale Internazionale, e denunciando i crimini dell’occupazione davanti all’opinione pubblica mondiale.
Unificare la scena interna palestinese: perché ogni guadagno politico esterno resta fragile in assenza di un’unità nazionale palestinese che riorganizzi la casa interna.
Il riconoscimento occidentale dello Stato di Palestina non è una mera dichiarazione protocollare, ma un indicatore di un cambiamento più profondo nell’umore internazionale, e di una consapevolezza crescente del fallimento degli approcci antichi che trascurarono per decenni i diritti legittimi del popolo palestinese. Questo riconoscimento, se accumulato ed espanso entro un quadro internazionale chiaro, potrebbe costituire uno dei pilastri fondanti della creazione effettiva di una nuova fase politica, che sposti la causa palestinese dal cerchio della marginalizzazione al cuore dell’equazione geopolitica.
Tuttavia, il valore di tali riconoscimenti rimane subordinato alla capacità dei paesi interessati di superare il simbolismo, e muoversi verso un sostegno politico e giuridico effettivo che conduca a una pressione reale su Israele affinché ponga fine all’occupazione e torni al tavolo delle trattative sulla base delle risoluzioni della legittimità internazionale.
« In definitiva, non si può separare i riconoscimenti successivi dello Stato di Palestina dalle trasformazioni in corso nell’ordine internazionale, dove gli equilibri di potere cambiano e i concetti di sovranità e giustizia sono ridefiniti. E i Palestinesi, così come gli Stati arabi e la comunità internazionale, devono rendersi conto che questo momento non è semplicemente un’opportunità mediatica, ma un momento strategico che richiede un buon investimento, e una visione realistica e di lungo respiro, per costruire un percorso di pace giusto e sostenibile, che non escluda nessuno, e non si costruisca a spese delle vittime. »