*Giorgio Paolucci
Younis Tawfik, poeta e romanziere, è nato a Mosul, vive a Torino, è presidente del Centro culturale italo-arabo Dar-al-hikma e non si è perso un minuto della visita del Papa.
Che impressione le ha fatto vedere Papa Francesco nella sua Mosul?
Mentre lo vedevo camminare nella mia città ancora piena di macerie mi è caduto lo sguardo sull’orologio di casa mia, e ho pensato che il tempo cancella inesorabilmente ciò che passa, ma gli uomini giusti non possono venire cancellati. Francesco rimarrà per sempre nella memoria degli iracheni come un uomo giusto. Ascoltandolo, mi sono venute le lacrime agli occhi. Le ferite di molti sono ancora aperte, anche nel mio cuore: nel 2008 mio fratello, avvocato civilista, Fares Tawfik è stato assassinato da un gruppo di islamisti legato ad Al-Qaeda, abbiamo scoperto più tardi che il suo assassino era il vicino di casa convertito, in segreto, al pensiero jihadista. Nel 2017 ho perso anche la mamma, Khairiyya in seguito a un attacco missilistico dalla parte dell’ISIS durante le operazioni per la liberazione di Mosul. Vittime della follia omicida dell’Isis e di una deriva ideologica estranea all’autentica fede islamica ma che purtroppo ha trovato varchi nella mente di molti musulmani. Mosul viene giustamente ricordata per l’esodo forzato di migliaia di cristiani, ma anche i musulmani hanno pagato un conto altissimo.
Dopo tutto quello che è successo, potrà tornare a vivere come città simbolo di convivenza?
Francesco ha usato una metafora bellissima dicendo che quando anche un solo filo dei nostri tappeti tipici viene strappato, tutto l’insieme rimane danneggiato, perde valore. La mia città ha nel suo Dna la convivialità tra identità diverse. Ci sono secoli di storia a testimoniarlo, questa eredità è stata deturpata ma non può venire cancellata. E’ insensato cacciare da quella terra popolazioni che la abitavano secoli prima dell’arrivo dell’islam. Voglio essere provocatorio: i cristiani arabi hanno più diritto di noi arabi musulmani di stare in quella terra che li aveva conosciuti già dai tempi degli Assiri, abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per aiutarli a tornare nelle loro case.
Ma molti cristiani hanno paura. Non si fidano delle promesse, è ancora vivo il ricordo di qualche vicino di casa musulmano che li ha denunciati all’Isis o ha occupato le loro abitazioni dopo l’esodo di massa.
A causa delle brutalità commesse, dell’instabilità nella regione e della presenza di persone che sono state letteralmente plagiate dall’Isis, certi timori sono comprensibili. Ma la maggior parte della popolazione vuole tornare a vivere nella concordia. Domenica padre Ra’id, che è anche un amico della mia famiglia, davanti al Papa ha testimoniato l’affetto con cui viene guardato dai musulmani che lo chiamano ‘abuna’ e lo considerano veramente un padre. La riconciliazione è possibile se si è capaci di perdonare, di fare il primo passo verso l’altro.
I cristiani chiedono di non essere considerati una minoranza da tollerare, ma cittadini a pieno titolo.
Questo deve essere assolutamente garantito, non è una concessione ma il riconoscimento di un diritto dovuto: la cittadinanza deve essere legata al fatto di essere iracheni, non all’appartenenza a una confessione religiosa.
Cosa possono imparare i musulmani da queste giornate?
Francesco è venuto come uomo di pace a testimoniare che con la violenza non si va da nessuna parte. Nella piazza delle Quattro Chiese di Mosul ha pregato per tutti, non ha fatto distinzioni tra vittime cristiane e musulmane. La sua presenza è stata un balsamo di amore sulle ferite dell’Iraq. A Mosul ha lanciato una colomba bianca davanti alla chiesa dove i miliziani del Daesh avevano proclamato il califfato, un gesto che resterà nella storia. La sua insistenza sulla necessità del perdono induce noi musulmani a fare i conti con qualcosa che molti hanno dimenticato, a ritrovarne le radici nel Corano che parla di Dio clemente e misericordioso. Inoltre questo viaggio è stato una declinazione di quanto affermato sulla carta nella Dichiarazione di Abu Dhabi: in questi giorni si è “respirata” davvero la fratellanza universale.
Fonte:Avvenire